Abbiamo fatto alcune domande all’ingegner Francesco Seneci di Netmobility Srl sul tema della mobilità ciclabile in Italia: ne è nato uno scambio interessante per amministratori pubblici, tecnici e semplici cittadini. Buona lettura.

In questo blog si è trattato più volte il tema delle mobilità ciclabile. A questo proposito abbiamo voluto approfondire alcuni aspetti dei Biciplan coinvolgendo di nuovo l’ingegner Francesco Seneci, past president e ora consigliere del Ciab, Club Imprese Amiche della Bicicletta, e Amministratore unico di Netmobility Srl, società che si occupa di pianificazione della mobilità e progettazione urbana, con una speciale attenzione a soluzioni innovative e sostenibili.

Ritiene ci sia maggiore consapevolezza e quindi impegno a sviluppare una mobilità sostenibile?

Sicuramente è aumentata la consapevolezza all’interno degli organi decisionali, Amministrazioni e Uffici tecnici. È da sottolineare che la situazione particolare che stiamo vivendo da un anno a questa parte ha stimolato la transizione verso modelli che prima stentavano ad affermarsi come lo smart working e la didattica a distanza.

Qualcosa di analogo è successo anche per la mobilità perché quest’estate ci sono state delle modifiche molto importanti al Codice della Strada. Col Decreto Rilancio prima e il Decreto Semplificazioni poi sono stati introdotti degli elementi sulla mobilità ciclabile che aspettavamo da anni e che nel resto d’Europa c’erano da decenni.

I due decreti, infatti, hanno introdotto molte definizioni, come ad esempio le “case avanzate” o le corsie ciclabili di nuova concezione – alla stregua delle “Bike Lane” europee – che hanno permesso di ripensare la mobilità ciclabile urbana. Su questi temi in Italia c’è un forte dibattito perché non li comprendiamo fino a fondo, essendo ancora legati a una cultura monotematica basata sull’utilizzo delle auto.

Mobilità ciclabile e Biciplan - Intervista a Francesco Seneci - 4
Cortesia Netmobility Srl

C’è comunque in atto una trasformazione e il momento storico ha dato un impulso in tal senso. Il problema adesso è capire se sapremo dare una continuità. Le città hanno ragionato su queste cambiamenti concependoli come una mobilità di emergenza. Ma non mi piace questo termine perché quando l’emergenza è finita, tendiamo a metterla da parte e a dimenticarcene perché ci ricorda i tempi bui. I miei colleghi ed io preferiamo usare il termine “mobilità di transizione”: tutto quello che stiamo facendo serve per passare a un nuovo modello.

Biciplan: com’è la situazione?

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Cortesia Netmobility Srl

La mobilità ciclabile, declinata come piano infrastrutturale, era già presente nel D.M. del 30 novembre del 1999, ma è la Legge 2 del 2018 – legge quadro sulla mobilità ciclistica – a introdurre per la prima volta il Biciplan, e le linee guida sono successive: si tratta quindi di un’evoluzione normativa recente che segna un atteggiamento nuovo.

Anche prima della Legge 2 le Amministrazioni realizzavano piani di mobilità ciclistica, ma c’era scarsa attenzione. Ora noto che aumenta il numero di amministratori che realizzano i Biciplan perché ci credono, hanno la consapevolezza che è uno strumento fondamentale per la città. Si rendono conto che stanno facendo un piano che serve allo sviluppo corretto della mobilità per i prossimi 20-30 anni.

Occorre sottolineare che sia le grandi città come Milano o Bologna, sia le realtà medio-piccole come Brescia o Venezia Terraferma non stanno lavorando male. Scontiamo però un ritardo culturale fortissimo rispetto al resto d’Europa. Oggi stiamo godendo di cose che avremmo dovuto vedere 20 anni fa, se fossimo stati al pari di altri Paesi.

Cosa comporta questa maggiore attenzione? Può tradursi in un miglioramento degli attuali Biciplan?

Comporta un passaggio nuovo, che non è normativo, ma culturale. Occorre abbandonare il “culto” del piano tecnico e iniziare a pensare i Biciplan come processi di trasformazione delle abitudini e dei comportamenti delle persone, che è un po’ quello che sta alla base dei P.U.M.S., Piani Urbani di Mobilità Sostenibilità.

Del resto la Legge 2 introduce il Biciplan come piano di settore del PUMS, lo inserisce in un processo di pianificazione nuova, nel senso che i PUMS hanno come elemento fondamentale la partecipazione dei cittadini. Il Biciplan, quindi, non dev’essere solo il piano delle infrastrutture, ma portare a un processo di trasformazione.

Quello che dobbiamo fare, a mio avviso, non è realizzare più piste ciclabili, ma fare in modo che la gente vada in bicicletta. Non serve a nulla avere tante piste ciclabili, se poi le persone non montano in sella; e non è detto che fare piste ciclabili sia l’elemento principale che sposterà le abitudini delle persone.

Mobilità ciclabile e Biciplan - Intervista a Francesco Seneci - staccionate in corten di Cortensafe - 2

Come si può attuare questo processo di trasformazione?

Innanzitutto noi tecnici dobbiamo uscire dalla nostra “bolla”, cioè smettere di credere che il mondo giri attorno ai nostri temi. Dobbiamo invece iniziare a pensare come lavorare con i cittadini perché questa trasformazione diventi patrimonio di tutti. Non si possono lasciare le cose in mano ai soli ingegneri, ma occorre puntare a gruppi multidisciplinari.

Recentemente come Netmobility abbiamo vinto il bando del Comune di Brescia grazie proprio a una squadra multidisciplinare. Assieme a noi c’è una società di comunicazione. Per quale ragione? Perché se vogliamo che i Biciplan portino a dei cambiamenti nei comportamenti delle persone, occorre applicare delle strategie di marketing e comunicazione che ci aiutino a raggiungere tale obiettivo. Anche realizzare le infrastrutture cambia le abitudini, ma oggi serve una spinta in un’altra direzione.

Quindi possiamo dire che nei Biciplan, dal punto di vista tecnico, c’è già tutto: mancano gli aspetti di informazione, comunicazione ed educazione.

Certo, ma bisogna fare attenzione al fatto che non riusciremo mai ad aumentare l’uso della bici dicendo che è “bene e bello farlo”, perché non funzionano con le persone a cui non piace andare in bicicletta, e noi dobbiamo mettere in sella anche quest’ultime se vogliamo ottenere i grandi numeri. Occorre fare una comunicazione che elimini gli argomenti più classici come, ad esempio, “usare la bici fa bene all’ambiente, è una cosa etica, ecc.”.

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Le nostre scelte non sono regolate dalla razionalità. Se così fosse, andremmo tutti in bici perché è provato che andare in bici costa poco e fa bene alla salute. Purtroppo le nostre scelte appartengono a quella parte di “non-razionalità” che gestisce il 90% della nostra vita.

Dobbiamo riuscire a toccare la parte non razionale delle persone: per questo motivo occorre coinvolgere chi fa comunicazione e marketing. Senza dubbio, quindi, occorrono informazione, formazione ed educazione, ma anche marketing emozionale.

Cosa è preferibile: puntare sulle piste ciclabili o eliminare in certe zone il traffico di auto private?

A mio avviso non c’è una risposta univoca: ogni strategia serve. Pianificare e progettare una pista ciclabile non è un processo semplice, ma complesso. Si è sempre considerato la mobilità ciclabile come una cosa tutto sommato semplice e poco costosa: è grazie a questo approccio banalizzante che la mobilità ciclabile non si è mai evoluta in Italia.

Si tratta invece di un tema complesso e se vogliamo anche costoso. Complesso perché le utenze sono molto diversificate – dal bambino all’anziano – e vi sono in campo mezzi diversi – la bici elettrica non è come la bici normale. Si devono creare delle situazioni per cui tutte le persone montino in sella, soprattutto l’utenza potenziale, ossia quella che oggi non si muove in bicicletta.

Serve, pertanto, sia una mobilità ciclabile protetta per i ragazzi che vanno a scuola, sia le corsie in strada per le persone che stanno andando al lavoro e magari ci vanno di corsa con le e-bike.

Serve in questo contesto una città che rispetti i ciclisti e i pedoni – le utenze vulnerabili in generale – e quindi le “Zone 30” sono una delle strategie del futuro: una soluzione adeguata affinché tutti, automobili comprese, si possano spostare meglio, in modo più intelligente ed efficiente.

E il problema costi?

Proprio perché bisogna mettere in atto tutte le politiche possibili, la mobilità ciclistica non solo è complessa, ma è anche costosa. È vero che nel risultato finale il rapporto costi/benefici è estremamente vantaggioso: le ciclabili costano sempre meno di quello che ti fanno guadagnare.

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Ovviamente non stiamo parlando in termini pecuniari o finanziari, ma in termini di vivibilità, riduzione delle vittime di incidenti, qualità della vita: questo sono dati scientifici assodati da molti studi.

Bisogna avere il coraggio di investire tempo e denaro per ottenere risultati importanti.

Se da un lato, come dicevamo all’inizio, è aumentata la consapevolezza delle Amministrazioni, dall’altro si tende sempre a sottovalutare l’aspetto economico, in tutta la pianificazione della mobilità, compresi i PUMS.

All’estero, ad esempio, sono abituati a pagare 5-6 volte di più gli interventi di pianificazione. Si tratta di un problema rilevante, perché pochi soldi vuol dire meno tempo, meno attenzione, fare più cose contemporaneamente e quindi gestire male la pianificazione.

Dobbiamo operare un passaggio culturale sul tema: la mobilità ciclabile costa, ma costa perché vale. Le Amministrazioni comunali, aiutate da una società civile più sensibile a questi aspetti, devono iniziare a dare a tale mobilità la giusta priorità.

Quanto è importante l’apporto delle associazioni come Fiab, Ciab, Legambiente ecc.?

Le associazioni sono importanti nello svolgere i compiti di informazione ed educazione. I pochi risultati che siamo riusciti a ottenere in questi anni sono dovuti al 90% al lavoro di “lobbying” svolto dalle associazioni. Anche in questo caso, però, è basilare riuscire a parlare con chi oggi non sente questo tema come prioritario.

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Che consigli si sente di dare a un’amministrazione pubblica che voglia sviluppare un Biciplan e più in generale un piano urbano di mobilità sostenibile?

Li riassumerei in tre punti. Primo: partire dall’interno, nel senso che nessuna trasformazione può essere fatta unicamente da un tecnico che viene dall’esterno e a cui si delega la pianificazione.

Ciò che sto dicendo va un po’ contro i miei interessi: è chiaro che la consulenza e il supporto di tecnici esterni possono essere molto importanti, però le realtà che ho visto trasformarsi avevano al loro interno – nell’Amministrazione e/o nell’Ufficio tecnico – un pensiero chiaro su cosa fare, esistevano un’attenzione e una volontà ben precise. Se all’interno non si valuta importante la trasformazione che comporta la pianificazione della mobilità, diventa difficilissimo mettere in atto certi processi.

Secondo: investire tempo e denaro. Tempo perché c’è l’impegno di un tavolo tecnico interno, denaro per quello che dicevamo prima.

Terzo: la partecipazione dei cittadini. Il coinvolgimento dei cittadini in questi processi è fondamentale perché si attui una trasformazione. Ripeto: ci interessa che le persone vadano in bici, si trasformi quel modello monoculturale che vede nell’automobile l’unico mezzo di spostamento.

Ricordiamoci che lo scopo finale è migliorare la qualità di vita, rendere la nostra città un posto migliore dove vivere.